Titina, macché ruolo marginale. La sua ironia? Uno stile personale tra un Eduardo umoristico e un Peppino farsesco
Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».
Il Dipartimento di Discipline umanistiche dell’Università di Catania è diventato una fucina di giovani ricercatori nell’ambito dell’Art-visual, della Performing-Art e della drammaturgia, in genere, tutti lavorano attorno alla rivista Arabeschi.
Sulle pagine di questo giornale ci siamo occupati della ricercatrice Laura Pernice, autrice di Giovanni Testori sulla scena contemporanea, uno studio accurato sull’autore di Novate dal 1993 al 2020, guidato da una metodologia di ricerca che attinge non soltanto a una completa bibliografia, ma anche a un rapporto diretto con gli attori e i registi.
Il volume della ricercatrice Simona Scattina: Titina De Filippo. L’artefice magica, edito da Cue Press, è una ulteriore conferma di un modo di lavorare tipico del Dipartimento a cui abbiamo fatto riferimento. L’autrice ha scelto, per la sua ricerca, Titina De Filippo, utilizzando tutta la bibliografia esistente, ma confrontandosi anche con il molteplice materiale del Fondo Carloni, che fu, per la prima volta, catalogato dalla Cattedra di Storia del Teatro dell’Università Federico II di Napoli, in occasione di una mostra, al Teatro San Carlo, che ebbi modo di visitare nell’Ottobre 1996, dove si poteva ammirare tanto materiale messo a disposizione proprio dal Fondo Carloni. Il titolo della mostra era Filumena in arte Titina. Ed erano esposte lettere dei familiari, in particolare del padre Scarpetta e dei fratelli Eduardo e Peppino, tantissimi copioni, molto materiale fotografico e una gran quantità di olii, mosaici, collage, che testimoniavano l’ultima attività, quella di Titina pittrice, a cui la Scattina ha dedicato un capitolo del suo libro, con testimonianze di De Chirico, Savinio, Carlo Carrà, Gino Severini, Ludovico Ragghianti.
Negli anni Cinquanta, Titina, stimolata da Renato Simoni, che la presentò nel catalogo della mostra, fece notare la sua presenza di pittrice, a Milano, presso la Galleria di Vittorio Barbaroux; «la Domenica del Corriere» le dedicò un’ampia pagina (3 dicembre 1950).
Simona Scattina ha diviso il suo lavoro in sei capitoli, utilizzando, come materiale, gli elogi della critica, le memorie, gli epistolari, i testi teatrali e il materiale fotografico, presente in minima parte, nel capitolo dedicato alla iconografia. Seguendo le indicazioni di Meldolesi e di Taviani, Simona ha cercato, a suo modo, di entrare nel ‘corpo’ dell’attrice, recuperandone non solo la forza interpretativa, ma anche la fisicità, ovvero la sua maniera di stare in scena, anche prima di recitare insieme a Eduardo e a Peppino.
Sono in molti a identificare Titina con i fratelli, in verità, fino alla nascita della Compagnia del Teatro Umoristico, 1931-1944, lei vantava già una storia personale come prima attrice e come vedette nel teatro di Rivista, tanto da poter vantare uno stile personale, il cui elemento principale era da ricercare nell’uso sapiente dell’ironia che mantenne anche quando visse a contatto con l’umorismo eduardiano e quello farsesco di Peppino.
La Scattina ci tiene a precisare che il suo ruolo, accanto ai fratelli, non fu affatto ‘marginale’, essendo sempre al centro del trio che lei stessa aveva voluto, quando ne propose la nascita all’impresario Aulicino, per poi diventare una Compagnia autonoma, visti i trionfali successi, ma fu ancora lei a troncarne la continuità, dovuta alla forte personalità di ciascuno. L’autrice del libro segue tutta la storia di Titina, quella delle sue creature femminili, dalle sciantose a donna Amalia, a Filumena, a quelle interpretate nei vari film, dando, successivamente, voce ai testi scritti, ben 19, di cui analizza tre capolavori: Una creatura senza difesa, Quaranta, ma non li dimostra scritta insieme a Peppino e Virata di bordo, messa in scena da Nino Taranto con cui Titina lavorò per qualche stagione. (Nel 1993, Tato Russo, nella Collana Teatro, edita da Bellini, pubblicò sette testi). All’analisi approfondita delle tre commedie la Scattini fa seguire le Trame d’autrice, ovvero le schede degli altri testi.
Titina era molto abile nell’inventare i ruoli, specie quelli femminili, man mano che li costruiva, lei li recitava nella sua mente, tanto da appartenere alla categoria delle attrici-scrittrici e viceversa, a quella che Michele Cometa definisce «Il doppio ruolo». Ogni capitolo è arricchito da un’ampia bibliografia, con cui la Scattina intreccia un vero e proprio dialogo erudito, costruendo un ritratto completo della grande attrice che ebbe modo di trovare un suo spazio all’interno della Famiglia difficile, titolo della ben nota biografia di Peppino. La verità è che, a Titina, sia mancato un grande editore che si fosse occupato della sua drammaturgia, come, del resto, è accaduto per Peppino. Il volume pubblicato da Cue Press le restituisce quanto dovuto.